Rapporto Censis, presentata la 47ª edizione

Pubblicato Venerdì, 06 dicembre 2013
Giunto alla 47ª edizione, il Rapporto Censis prosegue l'analisi e l'interpretazione dei più significativi fenomeni socio-economici del Paese, individuando i reali processi di trasformazione della società italiana. Il Rapporto, presentato a Roma il 6 dicembre, apre con le “Considerazioni generali”, che illustrano il contesto generale, per poi passare a “La società italiana al 2013”, con l’analisi dei temi di maggiore interesse emersi nel corso dell'anno, e infine la terza e quarta parte presentano le analisi per settori: la formazione, il lavoro, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, il governo pubblico, la sicurezza e la cittadinanza.
Nel difficile momento economico e sociale attraversato in questo ultimo anno, un vero e proprio crollo non c’è stato, ma sono molte le persone scese nella scala sociale. “Negli anni della crisi – si legge nel Rapporto – abbiamo avuto il dominio di un solo processo, che ha impegnato ogni soggetto economico e sociale: la sopravvivenza”, che ha portato a una società “sciapa e infelice”. La ripresa però si intravede nella lenta emersione di processi e soggetti di sviluppo: “Si registra una sempre più attiva responsabilità imprenditoriale femminile, l’iniziativa degli stranieri, la presa in carico di impulsi imprenditoriali da parte del territorio, la dinamicità delle centinaia di migliaia di italiani che studiano e/o lavorano all’estero e che possono contribuire al formarsi di una Italia attiva nella grande platea della globalizzazione”.
Sul fronte dell’educazione il Rapporto registra che il 21,7% della popolazione italiana con più di 15 anni ancora oggi possiede al massimo la licenza elementare, di cui il 2% è composto da 15-19enni, l'1,5% da 20-24enni, il 2,4% di 25-29enni e il 7,7% di 30-59enni. Il circuito vizioso tra bassi titoli di studio, problemi occupazionali e scarsa propensione all'ulteriore formazione è testimoniato dalla significativa incidenza tra i giovani Neet di individui con al massimo la licenza media (43,7%); dalla marginale partecipazione complessiva della popolazione adulta ad attività formative, se in possesso della sola licenza elementare (0,8% del totale) o diploma di scuola secondaria di primo grado (1,9%).
Nel nostro Paese la quota di early school leavers, seppure in tendenziale diminuzione, continua a essere significativa. Se nel 2012 la popolazione di 18-24 anni con al più la licenza media che non frequentava altri corsi scolastici o attività formative superiori ai due anni era pari al 17,6%, in alcune aree del Paese restava al di sopra della soglia del 20%. Lo scenario nazionale è distante non solo da quello medio europeo (12,8%), ma soprattutto dall'obiettivo fissato da Europa 2020, secondo il quale i giovani che abbandonano precocemente gli studi non dovranno superare la soglia del 10%.
I percorsi triennali d'istruzione e formazione professionale costituiscono ormai una scelta concreta e sempre più perseguita al termine della scuola secondaria di primo grado. Degli appena 23.563 allievi dei primi corsi si è giunti ai 241.620 dell'anno formativo 2011/2012. Sul fronte delle università si registra invece un sistema squilibrato territorialmente e con scarsa capacità di globalizzazione.
Il 2013 si chiude con la sensazione di una dilagante incertezza sul futuro del lavoro in Italia. Secondo un'indagine del Censis condotta a settembre del 2013, un quarto degli occupati è convinto che nei primi mesi del 2014 la propria condizione lavorativa andrà peggiorando, il 14,3% pensa che avrà a breve una riduzione del proprio reddito da lavoro e il 14% di poter perdere l'occupazione. Il sentimento di sfiducia è alimentato dal deterioramento di un quadro di contesto che ha visto, soprattutto nell'ultimo anno, allargare il perimetro della crisi dalle fasce generazionali più giovani a quelle più adulte. Se anche nel 2013 è proseguita l'emorragia di posti di lavoro tra i giovani, con una perdita netta nel primo semestre di 476.000 occupati (-8,1%), che si sommano al milione e mezzo circa bruciati dall'inizio della crisi, anche nella fascia d'età successiva, tra i 35 e i 44 anni, il numero degli occupati è diminuito di quasi 200.000 unità, registrando una contrazione del 2,7%. E sono quasi 6 milioni gli occupati che nell'ultimo anno si sono trovati a fare i conti con una o più situazioni di instabilità e precarietà lavorativa.
I settori del lavoro tradizionalmente forti hanno subito un pesante ridimensionamento, con un calo degli occupati tra il 2008 e il 2012 del 10,8% nelle costruzioni, 10,2% nella manifattura, 3,8% nella logistica e dell'1,3% nel commercio. Di contro, altri comparti hanno fatto registrare trend postivi: tra questi vi sono le attività professionali di tipo tecnico-scientifico (+2,3%), quelle di programmazione, consulenza informatica e affini che, seppure ricomprese in un settore sostanzialmente stabile - quello dell'informazione e comunicazione (+0,1%) - fanno registrare un deciso balzo in avanti quanto a occupati (+4,7%). Cresce la domanda di competenze informatiche, linguistiche, ma anche e soprattutto tecniche e tecnologiche. Ma su questo il nostro sistema formativo non sembra garantire adeguata risposta. Ottimi studenti, che tuttavia quando entrano in azienda appaiono disorientati, in buona parte a causa dello scollamento esistente tra mercato del lavoro, da una parte, e istituzioni scolastiche e universitarie, dall'altra.