Censis, il 49°Rapporto sulla situazione sociale del Paese

Pubblicato Venerdì, 04 dicembre 2015

Un letargo esistenziale collettivo e la vittoria della pura cronaca. Così il 49° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese /2015 sintetizza la società italiana in cui è diffusa “una pericolosa povertà di interpretazione sistemica, di progettazione per il futuro, di disegni programmatici di medio periodo. Prevale una dinamica d'opinione messa in moto da quel che avviene giorno per giorno”. A dispetto di quanto l’uso diffuso delle tecnologie possa far pensare, si è insediato nella nostra società il “virus della sconnessione” con la conseguente crescita delle diseguaglianze, una caduta della coesione sociale e delle strutture intermedie di rappresentanza che l'hanno nel tempo garantita.

L’impegno della politica per ridare slancio alla dinamica economica e sociale del Paese, con un folto insieme di riforme di quadro e di settore e la messa in campo di interventi tesi a incentivare propensione imprenditoriale e coinvolgimento collettivo rispetto al consolidamento della ripresa, è riuscito solo in parte nell’intento: manca ancora – si legge nel Rapporto - la necessaria osmosi tra politica e mondi vitali sociali.

I processi di sviluppo reale del Paese sono comunque garantiti e poggiano su elementi che caratterizzano da sempre il nostro Paese: la «saggezza popolare» che ci ha fatto sempre scegliere bene nei momenti cruciali della nostra evoluzione, il decoroso modello di sviluppo creato a partire dagli anni '70, una composizione sociale poliedrica (lontana dagli schemi di classe e di ceto), una pur discussa forza sommersa dei comportamenti economici e sociali (dal risparmio al lavoro individuale), una territorialità non indistinta, la fedeltà continuata nel primato della diversità (delle opinioni e dei comportamenti). E in più, una certa dose di invenzione: la nostra società – sottolinea il Censis – “è capace di innovare in un continuo susseguirsi di processi e poteri soft, gestisce la realtà attraverso un empirismo continuato con capacità di autoregolazione, esprime una forte tensione a una organizzazione socio-politica di tipo poliarchico, ha bisogno di liberare le energie individuali dalle burocrazie e dalle procedure uniformanti”.

Il Rapporto valuta, poi, i singoli elementi della nostra società. Nel mondo dell’educazione rileva che sono in aumento gli studenti che proseguono gli studi universitari, anche se nel complesso è diminuito il numero degli immatricolati. In merito all’alternanza scuola – lavoro (Asl), il Censis stima che nel 2013-2014 ha realizzato questi percorsi il 43,5% degli istituti, ma solo il 13,3% dei licei può vantare un'esperienza pregressa. Anche per gli istituti con esperienza consolidata, il dover organizzare percorsi di Asl secondo le modalità stabilite dalla legge non sarà indolore e comporterà una profonda innovazione nei modelli organizzativi, gestionali e pedagogici. I percorsi finora realizzati hanno coinvolto al massimo, in un anno, poco più di 200.000 studenti (il 10,3% del totale) e hanno avuto una durata media di circa 70-80 ore. La platea è oggi molto più ampia (più di 500.000 iscritti al terzo anno di studi solo nell'anno scolastico 2015-2016 e, nel prossimo triennio, circa 1,5 milioni di studenti), cui dovranno essere garantite almeno 400 ore di percorso nei tecnici e nei professionali e almeno 200 ore nei licei. Il panel di dirigenti di scuola secondaria di II grado consultati dal Censis nel 75,4% dei casi ritengono che l'introduzione generalizzata dell'alternanza avrebbe bisogno di tempi più lunghi, in quanto comporta una profonda rivisitazione dell'organizzazione scolastica e degli insegnamenti disciplinari. Nonostante la difficoltà di garantire a ogni studente del triennio finale un percorso in alternanza, il 71,8% dei dirigenti scolastici ritengono positivo l'aver stabilito un tetto minimo di ore dedicate ai percorsi di alternanza perché condizione essenziale per garantire l'efficacia e la serietà della proposta formativa in alternanza.

Sul fronte del lavoro, il Rapporto rileva che l'Italia ha il più ampio numero di giovani lavoratori autonomi tra i principali Paesi europei: sono 941.000 (nella classe 20-34 anni), seguiti da 849.000 inglesi e 528.000 tedeschi. Il nostro Paese può contare anche su un bacino di potenziali start up vitale e in continuo fermento. Il 15% dei giovani italiani (16-30 anni) ha intenzione di avviare una start up nei prossimi anni. E sono circa 7.000 i giovanissimi titolari d'impresa in più oggi rispetto al 2009 (+20,4%) in alcuni e ben caratterizzati settori, riscuotendo preziosi risultati sul piano personale e di sistema.
Negli anni più recenti è aumentata la schiera delle libere professioniste, con un saldo positivo di 100.000 occupate tra il 2008 (325.000) e il 2014 (426.000). Si è trattato di nuova occupazione (il saldo del periodo è pari a 63.000 neo-occupati), ma anche di un travaso da altre forme di lavoro. La sfida cui oggi è chiamato il mondo libero-professionale è di rafforzare le tutele e gli strumenti di assistenza a sostegno dei lavoratori, in particolare dell'universo femminile. Problemi connessi alla salute, situazioni legate alle responsabilità familiari, la maternità hanno coinvolto nel corso degli ultimi cinque anni il 37,8% delle professioniste, eventi che in un elevato numero di casi finiscono poi per ripercuotersi direttamente o indirettamente sulla sfera professionale.
RG

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