Censis, il Rapporto annuale racconta la transizione attuale

Pubblicato Lunedì, 06 dicembre 2021

“La società italiana è mutata e ha attraversato crisi ed emergenze con il continuo intrecciarsi di realtà emerse e sommerse, quotidiane e di lungo periodo. Oggi questo non basta più. L’adattamento continuato non regge più, il nostro complessivo sistema istituzionale deve ripensare se stesso. Siamo di fronte a una società che potrà riprendersi più per progetto che per spontanea evoluzione”. Il Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese fotografa quest’anno l’attuale transizione verso uno sviluppo complessivo da maturare più per progetto che per continuato adattamento, che richiede un lavoro di autocoscienza, individuale e collettiva.

In una società nella quale l’irrazionalità ha infiltrato il tessuto sociale, il Censis registra un’aspirazione collettiva e condivisa di risalita, di vera e propria ricostruzione. Alla parola “crisi” si è sostituita la parola “transizione”, a indicare che il momento più grave è ormai alle spalle. Intorno a ciascun progetto di transizione - green, digitale, demografico, occupazionale - si accumulano tanti sprazzi di vitalità, tanta voglia di partecipazione, tante energie positive.

La transizione del lavoro, in particolare, il riposizionamento delle competenze in uno scenario produttivo e dei servizi radicalmente mutato, sfugge ancora alla sensibilità dell’opinione corrente. Il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, la dispersione di opportunità per mancanza o inadeguatezza delle competenze necessarie in questa nuova fase di ripartenza, non è un tema nuovo, ma oggi è al centro di un rinnovato bisogno collettivo.

L’emergenza sanitaria ha avviato un nuovo ciclo dell’occupazione: il 36,4% degli italiani ritiene che la crisi si sia tradotta in una maggiore precarietà (tra le donne la percentuale sale al 42,3%). Il secondo effetto è l’esperienza del lavoro da casa e la possibilità di conciliare le esigenze personali con quelle professionali: lo pensa il 30,2% degli italiani (e il 32,4% delle donne). Cresce l’aspettativa nel futuro, soprattutto per il 27,8% della popolazione che considera le risorse europee e il Pnrr elementi in grado di garantire occupazione e sicurezza economica per i lavoratori e le famiglie.

D’altro canto, rileva il Censis, il basso impegno nella formazione continua e il ritardo nell’adozione di efficaci politiche attive del lavoro rischiano di rappresentare una strozzatura per il perseguimento degli obiettivi di crescita previsti dal Pnrr. Tra il 2012 e il 2020 la partecipazione alla formazione continua delle persone di 25-64 anni è passata dal 6,6% al 7,2%, con un incremento di soli 8 decimi di punto. Nello stesso periodo la media per l’Unione europea è aumentata di un punto, dall’8,2% al 9,2%. Le imprese italiane di minore dimensione accedono poco ai fondi per la formazione finanziata: lo fa solo il 6,2% delle Pmi contro il 64,1% delle aziende che contano più di 1.000 dipendenti. L’altra gamba su cui poggiare la realizzazione degli obiettivi del Pnrr è la possibilità di disporre di un sistema coerente di politiche attive del lavoro in grado di gestire il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, tenuto conto del mismatch tra competenze necessarie alle imprese e competenze disponibili. Oggi, però, i centri pubblici per l’impiego in Italia riescono a entrare in contatto soltanto con il 18,7% delle persone in cerca di occupazione; a livello europeo la percentuale sale al 42,5%, con punte del 63,6% in Germania e del 60,3% in Svezia.

In questo contesto generale, il rapporto Censis riporta un dato occupazionale confortante: in media l’80,6% dei diplomati Its - Istruzione tecnica superiore - risulta occupato a un anno di distanza dal conseguimento del titolo. A più di dieci anni dall’istituzione, l’Its è un segmento strategico della formazione terziaria in Italia, complementare all’offerta universitaria. Tra il 2013 e il 2019 i corsi sono aumentati da 63 a 201 (+219,0%) e i diplomati da 1.098 a 3.761. Nonostante il ritmo serrato di crescita, i numeri sono lontani da quelli dei laureati con titolo triennale, che superano le 190.000 unità. L’offerta dei corsi è concentrata in tre regioni ad alta intensità imprenditoriale: Lombardia (19,3%), Veneto (14,6%) ed Emilia-Romagna (10,4%).

Per approfondimenti è disponibile il Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2021.