Lavoro, il Rapporto Cnel fotografa gli effetti della pandemia

Pubblicato Giovedì, 23 dicembre 2021

“Il Paese è in condizioni migliori rispetto al dicembre 2020, le debolezze del nostro mercato del lavoro, accentuate dalla pandemia risultano in parte superate”. Ha commentato così i dati raccolti nel XXIII Rapporto sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva 2021 del Cnel, il presidente dell’istituto Tiziano Treu.

“Tutti i dati – ha spiegato - mostrano segnali di una ripresa economica consistente, anzi superiore alle aspettative e alle medie europee, resta tuttavia molta strada da fare per recuperare i posti di lavoro perduti soprattutto da donne e giovani, ma sono certo che i comparti della 'green' e 'white' economy spalancheranno le porte a nuove professionalità, incentivando l'occupazione e rivitalizzando l'economia. Le professionalità necessarie per la transizione ecologica, le professioni sociali e sanitarie, i servizi alla persona e di educazione - ha concluso Treu - conosceranno un exploit e il Piano di Ripresa e resilienza, genererà occasioni di acquisizione di nuove competenze anche nei settori dell’agricoltura (brown jobs) e delle professioni digitali (orange jobs)”.

Il Rapporto Cnel presenta un’analisi del contesto che si è venuto a creare a causa della pandemia: la crisi sanitaria ha colpito in modo asimmetrico settori e imprese, penalizzando particolarmente in una prima fase soprattutto i settori a prevalenza femminile, come il commercio. Tuttavia, nonostante le maggiori difficoltà in termini di conciliazione, il sistema degli ammortizzatori sociali e la diffusione del lavoro da remoto sono riusciti a contenere le perdite occupazionali, per cui nel complesso i divari di genere in termini di livelli occupazionali sono rimasti relativamente stabili.

I più giovani hanno difatti registrato il calo occupazionale più marcato nelle prime fasi della crisi; tuttavia, proprio grazie alla veloce risalita del lavoro a termine verificatasi negli ultimi mesi, gli occupati più giovani hanno registrato nella prima parte dell’anno una dinamica molto positiva. Confrontando il secondo trimestre 2021 con il quarto trimestre del 2019, le persone con un titolo di studio universitario presentano l’evoluzione meno sfavorevole, (+60 mila, pari ad una crescita dell’1.1%). Gli effetti della crisi hanno colpito in misura maggiore i diplomati, tra i quali il numero di occupati è ancora inferiore dell’1.7% a quello del quarto trimestre 2019 (-184 mila), e soprattutto i lavoratori con al massimo la licenza media, per i quali i livelli occupazionali sono ancora inferiori di quasi 300 mila unità nel periodo considerato, pari ad una contrazione del 4.1%; in entrambi i casi, peraltro, la caduta di occupazione è stata accompagnata da un marcato aumento degli inattivi.

“Le forme di lavoro precario, come il part-time involontario e i contratti a termine – ha spiegato Treu - sono diffuse ed elevate. Qui i caratteri negativi non consistono solo nella quantità di lavori temporanei, ma nella loro spesso brevissima durata che impedisce ogni prospettiva di sviluppo, e per altro verso nelle ridotte possibilità di trasformarli in contratti a tempo indeterminato o nei tempi lunghi della possibile trasformazione. Questo è un segno drammatico della incertezza delle prospettive che pesa anche sulle imprese disponibili ad assumere. Per contrastare queste forme di precarietà possono essere solo parzialmente utili i vari tipi di incentivi alla stabilizzazione, anche più durevoli e mirati di molti disposti in passato”.

“Non dobbiamo attendere la fine dell'emergenza per affrontare il tema della precarietà o ci saranno corollari previdenziali e sociali che rischiano di essere irrecuperabili” ha commentato il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Andrea Orlando, presente alla presentazione del Rapporto, lo scorso 21 dicembre.

Al quadro demografico, che mette in evidenza come l’accentuata denatalità abbia drammatici effetti quantitativi sulle coorti di trentenni e ventenni, si associa la debolezza dei percorsi formativi, che pone l’Italia in cima alle classifiche europee per il maggior guadagno in termini di occupazione che deriverebbe da una migliore formazione e da un più efficiente utilizzo del capitale umano. Il Rapporto evidenzia un gender gap fra i più elevati fra le economie mature, fra le più basse in Europa la quota di quindicenni in possesso di competenze considerate indispensabili per un solido percorso di vita nel XXI secolo, una delle più basse incidenze di laureati e una delle più elevate quote di cittadini fra i 18 e i 24 anni privi di titolo di scuola secondaria superiore (quest’ultimo dato fermo sui livelli del 2008). Nello studio il Cnel richiama la necessità di rendere pienamente operativi questi strumenti, di rafforzare e aggiornare il programma garanzia giovani anche alla luce delle indicazioni europee, di far funzionare i nuovi strumenti di politica attiva predisposti dal PNRR e dalla legge di bilancio.

La formazione è un tasto dolente per tutti i lavoratori: i bassi livelli di qualifiche dei lavoratori italiani, accompagnati dal persistere di popolazione in età da lavoro senza appropriati titoli di studio (LFS-Eurostat, 2020) evidenziano, infatti, come occorra investire molto in formazione, certamente durante tutto il percorso della vita di un individuo, ma con una attenzione particolare alla formazione continua. Se è infatti vero che le politiche attive del lavoro debbano integrarsi con quelle formative per facilitare l’ingresso al mondo del lavoro, secondo il Cnel solo una azione funzionale alla formazione periodica e ricorrente dei lavoratori può garantire un upskilling e un reskilling utili alla maggiore competitività delle PMI italiane. Un obiettivo prioritario è di fornire una formazione digitale di base alla maggioranza degli adulti (l’80% secondo l’Action plan europeo), essenziale per non subire un digital divide che inciderebbe ulteriormente sulle diseguaglianze e sulla esclusione delle persone più deboli.

Oltre all’analisi di contesto, il Rapporto Cnel evidenzia le prospettive di nuova stagione per le politiche attive del lavoro tra azioni dell’Unione Europea e riforme nazionali, il lavoro delle nuove generazioni e la formazione; approfondisce inoltre l’impatto degli incentivi all’occupazione, la proposta europea per “salari minimi adeguati” nella prospettiva dell’ordinamento italiano, la contrattazione decentrata ai tempi della pandemia da Covid 19, le misure di sostegno al reddito nel 2021 fra emergenza Covid e ripresa economica e il reddito di cittadinanza e reddito di emergenza; la parte conclusiva presenta l’aggiornamento a dicembre 2021 dei numeri dell’Archivio nazionale dei contratti collettivi di lavoro.

Tra le novità del Rapporto 2021, ci sono le analisi sul lavoro libero professionale e delle persone private della libertà personale e sui green jobs, i lavori legati al Green Deal Europeo. Su questo ultimo ambito, i dati raccolti nel Rapporto mettono in luce che l’incidenza di lavoratori full green è concentrata in public utilities (30%) e nelle costruzioni, dato in linea anche in Italia con i risultati ottenuti dall’analisi sull’applicazione del concetto europeo di Environmental Economy (Commissione Europea, 2020d). Altresì, le professioni hybrid green sono concentrate in edilizia (45%), nei servizi sociali privati (10.5%) e in manifattura (9.1%).

Per approfondimenti leggi il XXIII Rapporto Cnel sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva 2021.